Quarta d’autore N° 4

 

 

 

Stefano Carrai presenta Viola di morte

Viola di morte è la prima raccolta poetica di Landolfi, uscita per Vallecchi nel 1972 con in copertina un ritratto dell’autore dipinto appositamente dall’amico Beppe Bongi. Si tratta dunque di un libro abbastanza tardo, ma non lo era la vocazione poetica che gli era alle spalle, tenuta fino ad allora ai margini per la preponderanza della scrittura in prosa. Il sonetto d’apertura del libro difatti è esplicitamente datato al 1920, cioè alla prima giovinezza, e i testi poetici che esso raccoglie solo oltre trecento.

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Da “Gli anelli di Saturno”, di Alessandro Gaudio

 

 
Gli scritti pubblicati di seguito sono estratti dall’agenda di filosofia della letteratura redatta settimanalmente da Alessandro Gaudio per l’«Eco dei monti» (storica testata fondata a Nicosia, in Sicilia, nel 1905), che ha per titolo Gli anelli di Saturno. Il progetto complessivo, come scrive l’autore, «prevede di ricostruire un percorso all’interno della cultura del Novecento che, attraverso sintetici riferimenti alla letteratura, alla filosofia, alla psicanalisi, alla storia dell’arte e alla fotografia, discuta alcune delle questioni essenziali sulle quali si è interrogata la civiltà capitalistica durante il secolo scorso. Le problematiche sottolineate da Landolfi si uniscono a quelle sollevate da Musil, Trakl, Wittgenstein, Bernhard, Sebald, Volponi, Morselli e altri, formando un sistema di rimandi che, spesso dialetticamente, consente di considerare, da punti di vista inediti, la complessità della cultura moderna».
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Landolfi senza luna

di ELENA FRONTALONI
 

 

Dei versi di Umberto Saba, Giovanni Raboni apprezzava soprattutto la levigatezza immediata del dire, nemica del critico-scalatore che si getta sulle oscurità del testo poetico per comprenderlo e spiegarlo (complicarlo) con affilati strumenti d’analisi formale. Tra gli strumenti nemmeno tanto affilati, c’è la ricerca delle fonti e delle citazioni dai classici; e quando si tentano simili operazioni per testi poetici del Novecento, stilare la tabella dei debiti dai Canti di Leopardi sembra un passaggio ghiotto e obbligato. Ghiottissimo il caso delle poesie di Tommaso Landolfi: una recente edizione di Viola di morte (diario in versi e prima raccolta poetica dello scrittore di Pico, del 1972, uscita di nuovo nel 2011 per Adelphi) dimostra come questo libro sia costruito interamente col linguaggio della tradizione letteraria e assai ricco di riferimenti leopardiani. Peccato che questi ultimi siano in più occasioni fin troppo smaccati. Il risultato è che in maniera speculare ma al contempo simile di come può capitare con Saba, il critico-scalatore viene disarmato da Viola di morte perché il prestito, o il tradimento, è spesso talmente riconoscibile da dar l’impressione di nascondere qualcos’altro – anche solo un ghigno («par quasi io conosca Leopardi e la sua opera, come deve aver affermato un recensore buontempone», si legge in uno dei primi appunti di Rien va, diario in prosa pubblicato da Landolfi nel 1963).
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