Un estratto dal libro di Antonio Prete, “A l’ombre de l’autre langue. Pour un art de la traduction”
Il sogno e il delirio (sua variante vigile, dunque perversa) costituiscono, per così dire, i fuochi attorno cui la ricerca linguistica di Landolfi ruota senza sosta, a quella stessa distanza costante e tremenda con cui la navicella di Cancroregina ruota attorno alla Terra: il sogno leopardiano di poetica purezza primigenia, che si tenta consci della sua impossibile realizzazione; il delirio insito nella volontaria, anzi programmatica evasione del senso, il quale è denuncia di un sogno svanito nelle tenebre chiare della veglia. Al di là dello scoglio apparentemente insormontabile del significato mancato, dell’insensato prodotto da sogni e deliri, il Landolfi del Dialogo dei massimi sistemi, a mezzo fra il divertissement contagioso à la Carroll e l’universalismo di Finnegans Wake, fa scorgere al lettore uno spazio incontaminato di essenze: l’apparentemente intraducibile, allora, diventa il già tradotto, forma in sé sostanziale dacché esprime una creatività svincolata dalla logica consuetudinaria.
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