“L’incantesimo di Landolfi”, di Roberto Barzanti
Incasellarlo in uno dei filoni letterari accreditati del Novecento italiano non è mai stato agevole: Tommaso Landolfi (1908-1979) è un caso insolubile. Periodi di dimenticanza si sono alternati a improvvise riscoperte, e delle definizioni coniate nessuna convince appieno. Surrealista è – e come! – ma la propensione per frammenti di un “diario perpetuo”, condito di gelido distacco e elegante nihilismo, imprimono a tante sue pagine un sigillo di sofferta esperienza. Per non dire del funambolico e teatrale registro linguistico, che fonde aulicità e vernacolo, sublime e sprezzature: un Gadda modernista, si direbbe, in veste déco. Tra le etichette da trascrivere quella di Luigi Baldacci: «il più grande scrittore in negativo del ’900». I suoi titoli son ripresi a circolare grazie a Adelphi e alle caparbie cure di Idolina Landolfi, la figlia primogenita che ha coltivato per il padre un tenace culto, non solo filologico. Addolora ch’ella, stroncata nel 2008 da una malattia crudele sulla soglia dei cinquant’anni, non possa sfogliare i due volumoni che aveva preparato con stupefacente meticolosità: «Il piccolo vascello solca i mari». Tommaso Landolfi e i suoi editori – Bibliografia degli scritti di e su Landolfi (1929-2006),(pp. 292 + 379, € 60, Cadmo, Firenze 2015). Idolina, lei stessa scrittrice, aveva fondato un Centro Studi dedicato al babbo i cui materiali – autografi esclusi – sono presso la Biblioteca umanistica dell’Ateneo senese a disposizione di chiunque intenda inoltrarsi in un affascinante labirinto.
Riferire dei volumi scegliendo un’ottica di predilezioni personali sarebbe arbitrario. Agli apparati e alle note hanno dato un fondamentale apporto Giovanni Maccari e Monica Marchi ed hanno una sistematicità da salvaguardare. La novità più succosa è il saggio A carte scoperte. Dove, attraverso una documentatissima analisi delle peripezie subite dai libri del più eccentrico personaggio della congrega intellettuale per solito adunata ai tavolini delle Giubbe Rosse si dà ragione di malintesi, raggiri, inamovibili fedeltà, stentati ricavi. Una monografia buttata giù con la passione di un’arringa difensiva, indagando senza reticenze nel prosaico retroscena di compensi pattuiti, di liti improvvise e irati abbandoni. Non si capirà mai abbastanza che senza portare allo scoperto questa rete di rapporti non si riusciranno a precisare dei testi, o delle magnifiche traduzioni (dal russo), l’effettiva diffusione, la pubblica incidenza: una lezione di metodo per disegnare la mappa della fortuna critica e l’intensità della diffusione delle opere su basi concrete e riscontri puntuali. Non poche o marginali le domande che insorgono. Perché, dopo il successo dell’irriverente Le due zittelle uscito nel ’46 per i tipi di Bompiani nel 1946, Landolfi abbandona con capricciosi battibecchi una Casa che gli avrebbe assicurato tanto maggior seguito della fiorentina guidata dall’ondivago Enrico Vallecchi, non più solida ormai come ai tempi d’oro? Con il figlio del grande Attilio – morto nel ’46 – Landolfi intrattiene un rapporto confidenziale irto di continue polemiche: imperterrito vallecchiano rimarrà fino al passaggio da Rizzoli nel ’72. Eppure le tensioni sono all’ordine del giorno. Un esempio minimo: un’aurea favola per bambini, Il principe infelice, vende tra il ’43 e il ’44 l’intera tiratura di 5000 copie: un colpo! Landolfi si rimette al lavoro e consegna a tamburo battente La raganella d’oro, ma ci vorranno gli argani per vederla apparire in vetrina, addirittura nel ’54. «E ora – aveva scritto nel maggio ’47 Landolfi dal ritiro dello spettrale palazzo avito di Pico all’inaffidabile amico – a te: guarda di pubblicarlo il più presto possibile, al massimo per settembre od ottobre». Ben sette anni di tira e molla! «Desidero, per dirne solo una – siamo al 1950 –, che il libro per bambini esca assolutamente per Natale: se non puoi prendere questo impegno, perché non dirlo apertamente? Io, da mia parte, dividerei con te gli anticipi o i proventi eventuali». Malgrado disguidi e ritardi il legame non si allenta, per una sotterranea complicità. L’editore sapeva il fatto suo e mollava di tanto in tanto qualche anticipo, che puntualmente Landolfi, divorato dalla smania del gioco d’azzardo, sperperava in rovinose puntate alla roulette di un Casinò o in bische plebee. La diatriba sui libri per l’infanzia è episodio minimo di un’eccelsa civiltà culturale! E non era questione soltanto di “letteratura alimentare”. Anche in quelle invenzioni trovi le sarcastiche tinte noir di uno scrittore unico. Un bestiale gigante «a preferenza si cibava di carne umana, anzi quasi sempre di giovinette e fanciulle, che certo sono, per un animalaccio di tal fatta, i bocconi più gustosi e delicati». L’incantesimo della frusta formula dei giulivi finalini è irriso e sfregiato: «Là dunque vissero felci e contenti per lungo volgere d’anni, e là, se nel frattempo non sono morti, vivono certo tuttora».
Roberto Barzanti
(“Corriere Fiorentino”, 22 ottobre 2015, p. 13)