Quarta d’autore N°7
Matteo De Giuli presenta Le labrene
Animali veri eppure fantastici abitano i racconti di Tommaso Landolfi. Sono presenze perturbanti, simboliche, spettri della mente che si modellano attorno alle ossessioni dei protagonsti e assumono fattezze ferine. Prendiamo le labrene, i piccoli rettili che infestano la casa del narratore nel racconto che dà il titolo a questa raccolta. Le labrene non sono altro che i comuni gechi, eppure le labrene sono anche molto di più: esseri repellenti e arcani, mostriciattoli minacciosi e dal potere immenso, capaci di uccidere chiunque abbia la sciagura di toccare le loro squame. E muore, il narratore, proprio quando sfiora per fatalità una labrena, nel tentativo di scacciarla. Si risveglia da cadavere, a terra, immobile, muto. Imprigionato in quel corpo esanime, riesce però lo stesso a sentire le voci di casa e poi quelle del proprio funerale, le parole dei cari, e della moglie, che prima lo compiangono e poi pensano subito a dimenticarlo, progettano il futuro, le loro nuove vite. Ma è morto davvero, il narratore, o stiamo attraversando assieme a lui il suo delirio allucinatorio?
Come sanno bene i lettori di Landolfi, l’orrore si nasconde negli spazi incolti che separano il quotidiano e l’impensabile. E non solo di spettri animali fervono gli incubi di questi racconti. Nelle pagine che leggerete l’orrore assumerà forme inaspettate, tante almeno quante sono le prose della raccolta, che ospita novelle molto diverse tra loro, dialoghi e dibattiti immaginari, apologhi e parodie dei generi. L’orrore è ciò che si ritrovano ad affrontare i protagonisti di Le labrene, tutti uomini, quando finiscono per fare i conti con la fugacità delle illusioni e delle esperienze della vita, compreso l’amore. Perché le donne in Landolfi sono archetipiche o idealizzate, a volte sono appena accennate, sono solo dei nomi, degli ideali, e sono eterne, divine e proprio per questo fonte di una passione soffocante e aliena, impossibile da gestire. E quindi sono viste con sospetto, diventano bersaglio di assurde violenze fisiche e psicologiche. Gli uomini, accecati dal fastidio, dalla perversione, dall’odio verso loro stessi, sfogano in modi paradossali lo stolido orrore che li attraversa: nel secondo racconto, “Encarte”, un signore, per rimettere in riga la moglie che non lo rispetta più, chiede al suo gemello più abile e determinato di passarci una notte a letto. Il terzo racconto, “Perbellione”, inizia così: “Che cosa teme più che tutto una moglie? Essere picchiata da un marito senza scrupoli. Teme, nel senso che lei teme fisicamente; ma teme, anche nel senso che le percosse sono il solo mezzo per ridurla alla ragione”. Nel quarto racconto, che si chiama apertamente “Uxoricidio”, un marito riesce a uccidere sua moglie senza usarle violenza fisica: la fa soffocare nel pianto mentre le rinfaccia tutte le sue presunte malefatte.
Possiamo allora guardare a Le labrene anche come a una parodia della letteratura sentimentale, un antidoto contro le facilonerie della scrittura romantica, una risposta surreale e cruda all’intollerabilità della vita.
Matteo De Giuli è senior editor del Tascabile. Scrive per diverse riviste culturali, cartacee e online. Ha collaborato con Rai3 e Radio3. Con Nicolò Porcelluzzi ha scritto “MEDUSA. Storie dalla fine del mondo (per come lo conosciamo)” (Not, NERO editions, 2021).
Dopo Le labrene, sarà la volta de La biere du pecheur a cura di Giorgio Biferali.
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